dal giorno 15 al 28
Devo dire che dopo quel momento di down totale che mi ha vista in lacrime a Kiel, piangendo il mio desiderio di mare, caldo e coste portoghesi, chiedendomi come abbia potuto essere co-ideatrice di questa follia che è il viaggiogame, con Gloria che mi guardava con un misto di tenerezza, sgomento e derisione, è partita una botta di adrenalina ed entusiasmo per l’ingresso a Copenaghen e in particolare per quello futuro in Svezia (ah, il fascino del moto ondulatorio di dopamina e noradrenalina nel quale navigano le donne in quella meravigliosa fase del mese che preannuncia l’arrivo delle mestruazioni!).
Nonostante l’ebbrezza che ci portava a varcare la soglia del ponte più costoso mai incontrato nella vita, per arrivare finalmente in terra vichinga, è stato difficile salutare Copenaghen.
Ma la Svezia ci ha accolte mostrandosi da subito nel pieno della sua bellezza. Bellezza che nei successivi tredici giorni non ha fatto altro che sbocciare e fiorire davanti ai nostri occhi colmi di stupore.
Abbiamo esplorato buona parte della Svezia meridionale, calpestandola in senso orario: Goteborg, Costa del Bohuslän, Tivedens NationalPark, Stoccolma, Lago Vättern, Värnamo, Pietre di Åle, Ystad e infine Skänor. Nomi a noi ignoti diventati lentamente parte integranti delle nostre mappe mentali ed emotive.
Oggi quei nomi odorano di fuoco e terra, anche se la vera protagonista del viaggio è stata l’acqua; hanno il colore del sole che scende e che calca la sua luce sulle sagome del paesaggio; sanno di alghe e fritz-cola; sono nomi densi e vellutati, pregni di un silenzio smussato da lontani fruscii di vita nell’acqua, e friccicano dentro insieme ad un costante vissuto di meraviglia.
Non ho mai scritto un testo a posteriori, in viaggio. Usavo scrivere giorno per giorno, elencare dettagli e apprendimenti, avvenimenti e imprevisti. Questo viaggio non me l’ha permesso. O meglio, non me lo sono data io il permesso, di fronte a questo viaggio, già troppo social.
Così mi ritrovo ora a raccogliere tutto ciò che la Svezia mi ha germinato dentro: colori, costumi, consumi e altri semi.
Colori
Bandiera, casette e mostre
E per primi, i colori della bandiera. Ti saltano addosso da appena ci entri: li ritrovi nella segnaletica a bordo strada, nei campi coltivati, nel mare, nella luce e soprattutto nel cielo. La Svezia è piena di cielo. Riempie tutto quello spazio lasciato dall’assenza di rilievi, soprattutto nell’area meridionale, e si moltiplica centomila volte nelle sue acque, tante volte quanti sono i laghi sparpagliati nel suo territorio. Sì, sono poco meno di centomila, aprite google maps e zoommate in un punto a caso della Svezia, se non ci credete!
In quanto a colori l’esplosione massima, subito dopo quella dei tramonti, l’abbiamo ammirata nelle casette dei pescatori di Smogen, tra le cabine del mare sparse sulle dune di Skanor e nell’esposizione di Wanja Djanaieff al Vandalorum di Varnamo.
Di base però la Svezia di colori ne ha quattro: quelli della bandiera, il verde delle rigogliose foreste (che occupano più di metà del territorio) e dei suoi sottoboschi (tappeti di mirtilli) e il rosso. Non un rosso qualunque. Il Rosso Falun. Un rosso scuro che dipinge le case e le stalle tipiche svedesi, perché lì è nato: deriva infatti dalle miniere di rame di Falun, che si trovano nella Svezia centrale.
Costumi
Cultura e stile di vita estivo
C’è una cosa che mi è rimasta dentro e mi ritorna su trascinando ammirazione, stupore, nausea, speranza, delusione: la cura e il rispetto del bene comune.
Frustrante compararlo con l’Italia, Paese del ti-frego-appena-posso. Aree pic nic, barbecue, giardini, a disposizione di tutti, ben curati, pensati appositamente per essere belli e comodi, confortevoli per chi li scova nei posti più disparati: nei punti panoramici, nelle insenature dei laghi, lungo le superstrade, sopra bunker abbandonati fronte spiagge.
Indice, questo, di un grande benvenuto ai campeggiatori e in particolare a chi come noi pratica campeggio libero. È tutto talmente curato che quando lo approcci hai solo voglia di non contaminarlo in nessun modo, anzi. Elementi pubblici che invitano a godere e a dissolversi, senza lasciar tracce del passaggio, perché ognuno possa essere accolto senza sentirsi ospite.
Questa cosa del godere è insita nella loro cultura e quindi nelle loro parole. Una in particolare: fika. Letteralmente traducibile come “coffee break”, è il momento di pausa dal lavoro che si prende – anzi si DEVE prendere – per fermarsi e condividere un tempo più lento e piacevole con gli amici/colleghi. Questo doppio piacere di condivisione e lentezza, lo riconosci ovunque: dai bar, ai boschi, ai laghi, alle panchine per strada, alle piccole serre-salottino che hanno fuori dai giardini di casa, ai gesti della gente. Come quello di scendere di casa in bicicletta e accappatoio, arrivare in spiaggia, tuffarsi nel mare del nord, uscire, respirare, rimontare in bicicletta e tornare a casa – gesto ammirato più volte nei nostri tredici giorni di permanenza.
Fika (quante battute fantastiche noi italiani possiamo farci su).
Consumi
Cibo, bevande e snack
Questo ci è stato più estraneo, non nel senso di sconosciuto, ma lontano da noi. Hanno una predilezione per il cibo spazzatura: in autostrada ogni quattro chilometri trovi un’area di sosta con almeno un fast food, i supermercati hanno intere corsie dedicate a cioccolata, merendine e caramelle di tutti i tipi, ma non troverai mai alcolici nei frigoriferi, solo nei reparti appositi, a temperatura ambiente e sufficientemente costosi, e se continui a districarti tra i loro corridoi troverai sicuramente una parete ricca di salumi in tubetti (che non abbiamo avuto il coraggio di assaggiare e che quindi non potrò purtroppo descrivere).
Per noi, che un terzo delle spese del cibo sono andate nella birretta del tramonto e senza un frigo in macchina, questo della mancanza di alcool nei frigo dei supermercati è stato un colpo basso. Per ovviare alla cosa abbiamo trovato subito un’intelligentissima soluzione: prendiamo le birre a temperatura ambiente, mettiamole in freezer, nascoste tra i minestroni surgelati, poi andiamoci a fare un giro e torniamo a riprenderle. Un’idea eccellente, se non fosse che il giro è durato più di quanto avessimo pianificato e quando siamo tornate abbiamo trovato le due bottiglie scoppiate tra una busta di patate al forno surgelate e quella delle tipiche polpette svedesi.
Battuto il cinque per l’idiozia della cosa (che in realtà ci eravamo promesse di non raccontare a nessuno), abbiamo dovuto ripiegare sugli autogrill che, a differenza dell’Italia, hanno dei prezzi assolutamente accessibili: mai più di due euro per una fresca birretta.
Altri semi
Cose a caso
Le cose a caso che mi hanno colpita riguardano:
– la lingua, un miscuglio perfetto tra tedesco, inglese e russo, con la sonorità dell’italiano (innumerevoli le volte in cui entrambe ci giriamo di colpo stupite, convinte di aver sentito la nostra lingua. Invece no, di italiani neanche l’ombra, ad eccezione di Stoccolma che ne era colma (…) scusate.);
– i soldi: molto ma molto strano stare in un paese che ha una moneta diversa dalla nostra (la corona svedese – facilissimo tra l’altro da convertire dato che una corona equivale circa a dieci centesimi di euro), esserci state tredici giorni, e non avere idea di come siano fatte perché anche i cinquanta centesimi dei bagni pubblici potevano essere pagati via bancomat e così abbiam fatto
– lo strano rapporto che hanno con i cani: liberi di andare ovunque, sempre al guinzaglio, tanti cani in giro e tutti i padroni molto intimoriti dall’incontro con altri cani.
– il fatto che non esistano bagni per maschi o per femmine, ma bagni unici, frequentabili da entrambi.
A chiusura del viaggio e di questo diario posso dire di essere grata all’idea del viaggiogame perché per via della lontananza, del freddo, della voglia di mare e della parsimonia in viaggio, non mi sarei mai sognata di andare in Svezia. A posteriori, invece, la mia percezione personale (sì, tranquilli, è solo una percezione) è che i miei quaranta giorni di vacanza quest’anno, io li abbia passati nella terra delle isole, dei laghi e dei vichinghi, al riparo dal torrido clima che ha ovattato il resto dell’Europa, godendo pienamente dei colori, costumi, consumi e altri semi svedesi.