Scrivo dei Paises Vascos quasi un mese dopo esserci stata. Non sono abituata ma questo viaggio ci prende talmente tanto che mi è difficile stare sul pezzo: vedere posti nuovi, riposarmi, aver cura del blog, dei social e delle Scartoline fa sì che qualcosa mi perdo per strada sicuramente. In questo caso il blog.
Siamo entrate nei Paesi Baschi direttamente per la capitale, che no, non è Bilbao. È Vitoria-Gasteiz.
Non sapevo nemmeno dell’esistenza di una cittadina spagnola che avesse questo nome. E mi sono risollevata quando ho scoperto che non sono la sola.
Nell’ignoranza, dunque, facciamo il nostro ingresso a Vitoria parcheggiando Ivano davanti ad un centro sportivo e culturale e andando a piedi verso il Casco Viejo. Subito l’abbiamo amata. Tutta, interamente “zona 30”, autobus elettrici, ampi parchi e paseos verdi, con zone pedonali.
Scopriamo successivamente che:
Ci piace ancora di più. E di più ancora quando entriamo dentro una piccola rilegatoria e il proprietario ci mostra alcune cianotipie e della carta fatta da lui e da un’artista con cui collabora. Acquistiamo quattro suoi cartoncini meravigliosi utili per le Scartoline e continuiamo a girare per le vie della cittadina insieme a qualche turista e a tanti tanti ragazzi universitari che popolano locali e marciapiedi. Gli adulti e gli anziani sono padroni dei giardini e dei paseos. Almeno così ci è sembrato.
La tappa a Vitoria è durata due notti e tre giorni perché avevamo trovato un meraviglioso posticino bordo lago a poca distanza dalla cittadina.
Il pomeriggio ci siamo spostate verso ovest e soprattutto verso il mare. Siamo arrivate col buio a Zumaia, dove abbiamo trovato uno spottino stupendo a picco sul mare, insieme ad altri cinque-sei van di surfisti.
Il suono delle onde e l’odore del mare, la felicità di essere lì, Ivano illuminato dalle lucine in mezzo agli altri van, e la miriade di stelle che quella notte sono apparse sulle nostre teste ha fatto sì che mi sono sentita – in quel preciso istante – finalmente in vacanza.
Siamo rimaste il tempo di godere di quella notte e di andare a sbirciare le famose Flysch, la mattina dopo. Mi piacciono le Flysch, sono il soggetto del verbo sfogliare, però, in quanto rocce, lo coniugano in maniera dura e pesante.
Ha senso andarci se si fa tutto il cammino lungo la costa, non come noi che abbiamo parcheggiato abusivamente su un posto riservato ai residenti, venti minuti e poi siamo andate via.
Il passaggio successivo in questa terra di boschi verdi, piena di ics, di i, zeta, gi, kappa e ti, è stata San Sebastian, che io conoscevo e Gloria no. Completamente rinnovata rispetto a dieci anni fa, ora la ricchezza dei palazzetti che si affacciano sulla Concha sembra combaciare un po’ di più – purtroppo – con la sciccheria dei negozietti sparsi per le stradine del casco viejo e con le pintxerias più moderne di quelle che mi ricordassi. Facendoci spazio tra i turisti americani ci siamo però godute un paio di tappe per gustarci pintxos e zuritos. Poi io ho rischiato di morire quando ho ordinato i famosissimi pimientos di Gernika. Non avrebbero dovuto essere piccanti e invece non so se ho beccato il brutto anatroccolo dei peperoni, ma mi è scoppiato in bocca, poi mi è scoppiata anche la bocca, l’esofago, la laringe, lo stomaco e qua mi fermo.
Un’esperienza metafisica.
Il giro è finito con il miglior pintxo mai mangiato – non ricordo di cosa, mi dispiace – e l’ultima birretta in un piccolo locale ancora autentico che non ricordo dove sia. Utili queste ultime informazioni eh?
Il giorno dopo ci siamo concesse il lusso di passare la mattinata a Pasaia, un paesino sul mare, diviso a metà da un canale su cui si affaccia la piccola e caratteristica zona antica, fatta di case colorate e incorniciata da un colle boscoso.
Abbiamo lavorato sulle panchine di Torreko Plaza che guardano Santiago Plaza, la suggestiva piazzetta sull’altra sponda, dalla quale, prima che venisse a piovere, i ragazzetti del paese si tuffavano nell’acqua del canale.
E sono stati proprio i ragazzetti, anzi, i bambini, centinaia di bambini, a fare da cornice all’ultima nostra tappa basca: Gernika.
No, non siamo andate per vendicarci dei pimientos, né per vedere il famosissimo dipinto di Picasso (che sta al Reina Sofìa, a Madrid), e alla fine manco per vedere il Gernikako Arbola, simbolo della libertà del popolo dei Paesi Baschi, dato che le porte della Casa de Juntas di Gernika, luogo in cui esso si trova, chiudevano alle 18:00 e noi siamo arrivate alle 18:03.
Comunque, questo ci ha permesso di poterci entusiasmare di fronte, dicevo, ai centinaia di bambini e bambine riversate nella piazza maggiore del paese. Talmente tanti che siamo andati da un papà a chiedere cosa stesse succedendo: è venerdì pomeriggio, i bambini giocano, ci ha risposto come se gli avessimo fatto la domanda più assurda del mondo.
La semplicità: è-venerdì-pomeriggio-e-i-bambini-giocano. Decine e decine di bambini.
Quanta gioia sentire le urla dei marmocchi felici e vederli arrampicarsi sul monumento in memoria dei Gudari, i soldati baschi, sotto al quale c’è scritto “Amiamo la libertà, perciò daremo tutto per essa”.
Ecco, ora possiamo lasciare gli Euskadi ed entrare in Cantabria.
Salutiamo i Paesi Baschi con questa immagine, la troviamo coerente con ciò che si respira nella loro terra e con lo spirito che dimora nella loro storia.
...mentre leggo e provo ad immagino il vostro film mi domando se riuscirei io ad assimilare tanta bellezza ... e come riuscite voi a digerire ( oltre al piccante che esplode ovunque) tutto sto paradiso che è la nostra madre terra ....
Grazie Marta 😘
Grazie Gloria 😘
Grazie Nina 😘