Si parte alla volta del
Caucaso.
Dove con precisione, non lo sappiamo. Come ci si arriva, non lo sappiamo.
Quando e se riusciremo ad arrivare, non sappiamo nemmeno quello.
Sappiamo solo che la
Guesthouse esiste, e che probabilmente riusciremo a fare spola con l’ostello di Tbilisi per comunicare quando e dove i tipi di Barisakho dovranno venirci a prendere.
Alla fine è andato tutto bene, a parte che alla stazione di
Didube, dove c’è un via vai e un mercato caratteristico che Porta Portese levate proprio, ci siamo fatte fregare da un simpatico georgiano che per 30 lari ci ha portato a
Zhevaili. Lì, tra taxi nelle frasche, una bancarella di amache e una vecchina che vendeva di tutto ma non sigarette, in qualche modo che ancora non ho capito bene nemmeno io, siamo riuscite a beccarci con Gogi (leggasi Goghi), marito di Lulu, che ci è venuto a raccattare.
A quel punto è partito il rally vero. Altro che Tbilisi centro!
A 120 all’ora per le stradine di montagna, inspiegabilmente asfaltate. In quelle sterrate invece, diligente, non ha superato i 70 km/h.
Con questo viaggio nel mezzo delle montagne caucasiche, spropositatamente verdi, si conferma il fatto che le vie di comunicazione di terra, in Georgia, seguono rigorosamente i corsi d’acqua. Fiumi o laghi che siano. Una meraviglia. A parte la colazione che è tornata su e quel minimo di mal d’auto che io non soffro e che però in questa occasione sfido chiunque a non averlo.
Gogi non parla una parola di inglese, quindi quest’ora e mezza di rally è proseguita in silenzio. Lui perché non sapeva cosa e come comunicare, noi perché segretamente intente a pregare.
(Non è vero in realtà Gogi ha guidato molto bene, a parte il superare di 80 km/h i limiti di velocità).
Barisakho si trova tra i tralicci dell’alta tensione e delle montagne verdissime, a 1200 mt d’altitudine.
Ci vivono 30 famiglie, che probabilmente investono tutti i loro risparmi in macchine 4×4. Le case sono baracchette con tetti in amianto, tutte con il cortile e la vite ornamentale, tipica georgiana.
La nostra Guesthouse affaccia su un edificio diroccato ed è contornato da galline ma soprattutto da galli. Sono terrorizzata dalla notte. O forse lo dovrebbero essere loro, ora che ho imparato come si uccidono.
Lulu è gentilissima e parla un francese orrido ma comprensibile. Francese, sì. In mezzo al nulla lei non parla inglese ma francese.
Ci capiamo alla grande, alternando il francese con l’italiano, il georgiano e l’inglese. A cena staremo da loro. Sono molto carini, come tutti i georgiani: accoglienti, sorridenti e disponibilissimi.
L’unico piccolo problema sono i capelli sparsi ovunque per il bagno che chissà da quando non viene pulito per bene. Uno scempio che in realtà poi diventerà un problema per chi starà intorno a noi nei prossimi due giorni, dato che optiamo per non lavarci.
Poi si fa un giro nei dintorni. Visitiamo l’edificio diroccato che a cena scopriremo essere un vecchio centro sovietico di promozione della cultura (in mezzo alle montagne in un villaggio di 100 abitanti); la scuola funzionante che ospita ad oggi 30 bambini e che sta messa uguale all’edificio di cui sopra; due sentieri diversi che ci portano a vedere prima delle mini mucchette e poi dei mini maialini.
Coca-Cola per digerire il pranzo (ennesimo pranzo cannato perché troppo), altra camminata e ritorno in Guesthouse dove ci aspetta la cena (per la disperazione dei nostri stomaci).
Alla fine la cena si è rilevata fantastica, tutta a base di verdure e una bevanda dolce e frizzante fatta dagli uomini del villaggio a base di qualcosa affumicato.
A tavola con Lulu e Gogi lunghissimi discorsi sulle lingue, sul cibo, sui viaggi e sulla relazione politica Russia-Georgia.
Impariamo il mio nuovo vocabolo preferito “გენაცვალე”(ghenazvale), che è una parola georgiana intraducibile e può significare qualcosa tipo “dal mio bene al tuo”.
Partecipiamo a due brindisi, rituali tipici dello stare insieme georgiano, dove il capotavola fa una lunga predica/dedica. Lulu brinda prima ai nostri paesi e alla pace nel mondo e poi a chi portiamo nel cuore.
Immancabili le figure di merda:
- Lui si versa il tè addosso e Gloria ridendo e di nascosto accende la miccia della risarella “non lo guardare e non ridere”. Io sono morta, mentre lui guardava attonito le mie lacrime di fronte ad una fintissima tosse.
- Gloria, da seduta, si incastra con i lacci delle scarpe, non riesce più a muoversi. Me lo dice sottovoce e io rido talmente tanto che devo giustificarmi raccontando la cosa ai due georgiani, che prima la aiutano e poi ridono come matti anche loro. Di fronte alle loro risate e ai loro scambi in georgiano sulla situazione, appurando il fatto che “sei diventata lo zimbello di Barisakho”, io non mi trattengo e sputo l’acqua del bicchiere, mentre stavo bevendo. A tavola, con loro.
Comunque.
La cena si conclude trionfante con un infuso di menta raccolta da Lulu tra le montagne e il tentativo parzialmente riuscito (per via della nuvolosità) di vedere le stelle da qui.
მარტი ე გლორია