VIAGGI A MANO LIBERA

Giorno 2 - 22 LUGLIO

La giornata è iniziata nella cucina dell’ostello, alla ricerca spasmodica del caffè, in compagnia di un tipo identico ad Obelix che spandeva nella stanza un intenso odore di patate e salsiccia.
Andando verso la mashrukta, poi, abbiamo comprato il pranzo: due focacce con le patate e una con lo spezzatino alla modica cifra di 1,50€ totale. Cinque minuti dopo è successo che un caffè americano lo abbiamo pagato 1,80€. Sono rimasta ferma immobile davanti allo scontrino per 5 minuti. Non mi capacitavo proprio de fatto che un caffè costasse più di un pranzo per due.
In ogni caso siamo partite. Io, Gloria, una quindicina di turisti e TOTO.
Toto (sul cui nome stiamo continuando a discuterne ormai da 24 ore – secondo Gloria si chiama Tatu) è un simpaticissimo autista georgiano con il quale abbiamo provato a colloquiare per tutto il viaggio, essendo riuscite a conquistare con la tipica prepotenza italiana i due posti davanti.
Testiamo con mano la sportivissima guida georgiana contraddistinta dal fatto che non si fa passare nessuno (in città trovare delle strisce pedonali è un lusso), manco le mucche. Toto suona alle mucche. Gli suona, in mezzo alla steppa georgiana, dove a destra si intravede l’Armenia e dritto davanti a noi l’Azerbaijan, Toto suona a due mucche che volevano attraversare lo sterrato, e tira dritto.
Altra caratteristica di Toto e del suo fantastico pulmino, è che ogni tanto, in corsa, lui lo spegne e lo riaccende, così, per dargli lo sprint. Cioè stava a 40 km/h, o a 20, o quando ci riusciva a 70… e lui spegneva e riaccendeva al volo il pulmino. Fantastico.
Fatto sta che arriviamo in questo posto pazzesco, dai colori più variegati, talmente belli che nemmeno si lasciano fotografare per bene.
Siamo a Davit Gareja.
Nel confine con l’Azerbaijan, questo David Gareja (un asceta siriano) ha deciso di costruire una serie di chiese e monasteri scavate nella roccia.
Giriamo un po’ alla ricerca di cripte nascoste e ci imbattiamo in militari mimetizzati perfettamente che ci vietano di fare foto (quale foto? Noi???) e di passare proprio lì dove saremmo volute passare.
In ogni caso la svolta più grande della giornata è stata dopo.
Al ritorno Toto ci porta nel ristorante di una piccola e inaspettata oasi in mezzo alla steppa: Udabno.
“Black Horse”, si chiama il ristorante. Appena parcheggiato ci chiede se fossimo in grado di cavalcare. Gli rispondo di sì. Si assicura “გსჯაბსგუდბდჰაკნა?”, no. Non cadiamo. (Tutto questo ovviamente in un georgiano ormai a me comprensibile e fluente).
Gloria scende e si allontana, mentre il proprietario del locale ci accoglie e viene verso di me intenta ad accarezzare un cavallo. Trentaquattro secondi dopo essere scese dalla mashrukta, mi chiede “BUDISH?” (ringrazio qui pubblicamente Irina, la nostra storica donna di servizio, che mi ha insegnato la parola giusta) “BUDISH!” rispondo.
Seguono 10 minuti di conversazione in Georgiano. Più o meno è andata così.
Lui “ჰსნაიაჯგუანოდნაჰა იდოაბჯდნაკაბდუაკნა ჯავსყა ანნსიდ ჯაკდჰიაკა უსკაბსგ”
Io: “Diakh” (sì)
Lui: “ჯსნაოავდ აიკსჰდყა სჰდიკაჰდი აჯდიოანაგ დჯნაოაბდ აუკდბდი”
Io: “diakh, madloba” (sì, grazie)
Gloria “Ma che ha detto?” Interviene sbigottita, comparendo dal nulla.
Io: “Ci sella i cavalli e ci possiamo fare un giro dove vogliamo anche fuori da qui.”
Glo: “Oh wow”
Lui:“ჰდნაონდჰსოამჰ სუკაბაგსუდბ ჯრისნჰაისბ ჯსკბაჯა”
Io: “aggratis”.
E si va. L’incredulità di fronte a tutta quella fiducia nelle nostre competenze equestri è svanita quando realizziamo che i cavalli non camminano. Loro ciondolano. Ciondolano su un percorso già prestabilito (anche fuori dall’area recintata). E ogni tanto si fermano e non ripartono. È stato particolarmente frustrante per me che me la cavicchio a cavalcare, ma ci becchiamo comunque gli abbracci del tipo e di Toto non appena riusciamo a rientrare.
Birra.
Un barattolino di sale di Svaneti fatto in casa.
E un’ora di dormita russante in mashrukta.

La serata si conclude con un belga, un georgiano e Obelix che in ostello ci offrono da bere e un sacco di risate.

მარტი ე გლორია