È stato il giorno dei gol in calcio d’angolo. Quello delle rimonte all’ultimo minuto.
Parte con il più grande entusiasmo del viaggio e poco dopo la più grande delusione.
Poi, a differenza di ieri, il cibo fa prendere tutta un’altra piega alla giornata.
Anzi! Parte prima. Parte con le urla della sera precedente quando, stanche e sudaticce, alle 23, entriamo in bagno e sul piatto doccia troviamo praticamente un ecosistema a sé stante, composto da alghine, capelli e terriccio e sugna altrui.
Farsi la doccia è stato nauseante.
Gloria non riusciva a dormire, al pensiero del bagno e se l’è anche sognato di notte.
La mattina, con ancora più luce, cercando di non toccare nulla, riusciamo a stento a lavarci ascelle e denti e lasciamo un simpaticissimo biglietto nel quale chiediamo gentilmente di pulire.
Poi, euforiche, andiamo verso
Chiatura.
Una città mineraria, roccaforte bolscevica, in cui nel 1954 hanno installato una vastissima rete di cablecar per i minatori, e ancora oggi ve ne sono 17 funzionanti. E noi eravamo pronte a provarle tutte.
Va tutto talmente bene che senza preavviso dalla mashrukta intravediamo anche la meteora, massima attrazione della zona.
Il dramma però è iniziato appena messo piede al centro, quando nessuno parlava inglese. Un tipo poi ci rimanda a Tako, commessa del market, unica in città a parlare inglese, punto di riferimento per i turisti di Chiatura. Ma le cose sono andate a peggiorare.
Tako ci accoglie annunciandoci che le cablecar per ora sono tutte in via di ristrutturazione “You have to come back next year!”.
Per noi, lì, era finita la giornata. E anche tutta la vacanza.
Eravamo super orgogliose della scelta poco turistica e così particolare di Chiatura. Delle sue 150 cablecar. Dei minatori. Delle miniere. Dei bolscevichi! E invece nulla. Era tutto finito.
Fortunatamente c’è sempre un MA.
Per rifocillarci prima di andare a vedere una chiesa scavata nella roccia (che ormai sarebbe stata l’unica cosa da visitare), ci infiliamo in una bettola gestita da una vecchina, con due amiche che le facevano compagnia e un gattino che dormiva su una sedia.
La signora ci indica con un lungo bastone le immagini degli unici cibi disponibili tra quelli stampati in un cartellone sopra la porta di ingresso, e noi optiamo per degli hamburger tipici.
Ce li serve su una zuppa di orzo, pomodoro, peperoncino, qualche spezia e coriandolo.
Il miglior pasto da quando siamo atterrate in Georgia. Lo diciamo anche alla signora col supporto di Google Traslate, ripuliamo minuziosamente i piatti, le riempiamo di inchini e ce ne andiamo con uno spirito completamente differente.
Lì si sono aperti nuovi scenari.
I carrelli sospesi che trasportano manganese hanno miracolosamente ricominciato a funzionare (erano in pausa pranzo, evidentemente, prima), la chiesa nella roccia era meravigliosa, e da lassù vediamo anche una struttura fatiscente, estremamente affascinante, dove arrivavano i cavi di altri carrelli sospesi.
Scendiamo e andiamo a vederla da vicino.
Talmente si aprono nuovi scenari che anche i carrelli di quella struttura fatiscente cominciano a muoversi. È collegata ad una miniera ed è funzionante!
Il posto è pazzesco, surreale. E noi riusciamo ad entrare lì dove smistano e lavano la manganese arrivata dai carrelli sospesi sopra le nostre teste, accompagnate dai sorrisi e dai saluti dei minatori presenti.
Tutto talmente tranquillo che si fanno fotografare e provano a spiegarci come funziona la struttura (ovviamente in georgiano mischiato a russo).
Assurdo come possa ancora funzionare e come possano permettere alla gente di entrare dentro quell’edificio! Ma così è. E noi ringraziamo l’anarchia di questo Stato che ci permette di visitare qualsiasi cosa.
Gli altri gol di questa ultima giornata sono stati:
- Prendere al volo una mashrukta a caso che andava proprio verso Kutaisi. Lì abbiamo incontrato Liza e Ana, 14 e 15 anni (“La Georgia è bella per i turisti, non per chi ci vive. Hanno tutti una mentalità antica e chiusa, nonostante la loro ospitalità. Ma non me ne voglio andare da qui, non cambierò paese. La Georgia ha bisogno di gente come noi.”)
- cambiare ostello (dato che al ritorno nessuno si era degnato di pulire il bagno nonostante il nostro meraviglioso biglietto) senza litigare con nessuno e senza dover pagare doppiamente la notte, guadagnandoci una lunga doccia nel nostro bagno privato;
- fare la domanda giusta alla persona giusta (“What is your favourite restaurant in Kutaisi?”) e trovarci a mangiare i migliori Khinkali mai mangiati, il miglior Khatchapuri della Georgia e un Beef BBQ che levatevi tutti.
Domattina l’aereo parte all’alba, così questa sera iniziamo a mettere un punto al viaggio, e un grande, enorme, gigante, sorriso in tasca.