Rennes.
Manco ci dovevamo andare a Rennes e stasera non mi ricordo più perché l’abbiamo fatto. Ma siamo molto felici della scelta improvvisata.
A Rennes la mattina si fa silenzio, ed è mattina fino a pranzo inoltrato.
Sedute in Place Saint-Anne a mangiare il migliore pain au chocolat assaggiato finora (in realtà ne abbiamo mangiati due a testa, perché Gloria mi ha convinta ad approfittare dell’eccezionale offerta 3+1 gratis), accanto ad un mercatino di libri usati dove gli esercenti parlano a bassa voce con la polizia che è venuta a riscuotere probabilmente l’occupazione di suolo pubblico, si sentono intorno solo i loro bisbiglii e le macchine dei netturbini che svuotano i secchi, stranamente anch’esse abbastanza silenziose.
A noi va benissimo così perché ci siamo svegliate alle 7:15, sono le 10 e non abbiamo preso nemmeno un caffè, stiamo quindi in piena fase rem, ancora, però ad occhi aperti e in maniera ambulante.
Dopo mezzo chilo di burro sullo stomaco e una sufficiente dose di caffeina siamo pronte per calpestare le strade della capitale della Bretagna prima di tutti i suoi abitanti.
La visita alla città si sviluppa più o meno seguendo questo copione:
M (con quel mio entusiasmo tipico che Chiara adora – sul chi sia Chiara voi non preoccupatevi. Lei lo sa.) “Oddio guarda che bella Rennes! Ha tutte queste case a gratiiicciooo”
G “Marta, ma sarà l’unica, questa stradina, ad avere le case a graticcio”.
* giriamo l’angolo *
M “Oddio guarda un’altraaa! Che belle queste case a gratiiicciooo”
G “Vabe non ce ne saranno tante altre”.
E così via.
Solo che il centro storico di Rennes (che non è enorme ma è più grande di quello di Quimper e di Vannes) è fatto effettivamente, ancora, di quelle case a graticcio e storte che tanto mi entusiasmano. Questa conversazione è andata avanti per 3-4 volte fino a che non è diventata paradossale, una messa in scena, giocando ad anticiparci l’un l’altra.
Il fatto è che ieri le avevo letto che Rennes è stata completamente ricostruita nel 1700, dopo un gravissimo incendio che la devastó. Evidentemente qui si è fermata la sua attenzione, perché la seconda parte del paragrafo diceva qualcosa tipo “si è salvato invece il centro storico, che è sopravvissuto anche ai bombardamenti della seconda guerra mondiale”. Io ho provato a ripeterglielo già dalla sua prima “vabè questa sarà l’unica”, ma lei si era impallata.
L’altro copione se l’è dovuto subire Nina, che è diventata bravissima, proprio bravissima: cammina accanto a noi senza guinzaglio, ci ascolta, e si ferma prima delle strade per poterla tenere nell’attraversare. E soprattutto non protesta di fronte alle innumerevoli tappe che abbiamo fatto nei più disparati negozi.
– “Aspettaci qua eh, torniamo subito”.
– Si siede, alza le orecchie, sgrana gli occhi supplicandoci però di tornare davvero, e resta là.
Negozi di vestiti, dell’usato, boulangerie, un centro commerciale per cambiare la batteria del mio orologio fermo alle 9.25 da tre giorni, una farmacia dove prenotare un tampone per avere il green pass perché “ha proprio l’aria di essere un tampone gratis” (ed effettivamente lo era, solo per i francesi però. Perché qui ai residenti lo rimborsa lo stato il tampone, anche quello in farmacia – è forse questo l’unico modo in cui può aver senso il green pass nel garantire sia la sicurezza che la libertà individuale? – in ogni caso non si fa sto tampone, ché è fuori budget), la stazione dei treni di Rennes (meravigliosa – che sembra teletrasportarti in una stazione aliena, così geometrica, neutra e tubolare), una libreria dove finalmente prendo un albo illustrato da aggiungere alla mia già ben fornita libreria, una papeterie.
Insomma, per la nostra prima vera città (Bordeaux non conta, a Bordeaux non si entra nei negozi, si resta solo a ridere e piangere e ricordare col naso all’insù o al limite fronte locali) ci siamo concesse l’ingresso in diversi esercizi uscendone alla fine della giornata con un orologio che funziona, un libro per bambini e un simpatico canetto annoiatissimp e sempre più bravo.
Per premio l’abbiamo portata al Parc du Thabor, dove i giovani cospargono i suoi prati a gruppetti, i bambini giocano in un parco giochi a loro designato, in legno e corda, gli amanti passeggiano tra un roseto così ricco e fiorito che nemmeno quello di Roma a maggio, i quarantenni bevono qualcosa al bar dell’Orangière, la gente sola è stesa sulle panchine o sulle sedie con la compagnia della bicicletta e di un libro, e i cani devono stare al guinzaglio. Niente, non è proprio giornata per Ninozzi.
Uscite dal parco, prima di riprendere la macchina, torniamo al centro per recuperare il powerbank che stamattina avevamo lasciato in un hotel e che per 2 euro ce lo ha ricaricato finora.
Rennes alle 18 è un’altra città.
S’è svegliata.
Tutti gli universitari che studiavano nella biblioteca di Les Champs Libres (centro che ospita anche il museo di Bretagna e l’espace des sciences) o che dormivano nelle loro stanze in case condivise, sono seduti ai tavolini dei pub di questa città che è principalmente volta a loro, e questo è palpabile.
Brusio, urla, musica, bicchieri e posate che tintinnano. Il paesaggio sonoro è così diverso che diventa diversa anche la città stessa.
Sempre bellissima, però diversa.
Ne usciamo divertite, stanche (oggi abbiamo camminato consecutivamente – ad eccezione di una tappa di mezz’ora al parco – per sei ore, facendo 17 lentissimi km), desiderose di addentrarci nella foresta di Brocéliande, dove domani andremo alla ricerca della tomba di Merlino, della Valle senza Ritorno, dello specchio delle fate e di tutte le storie che ne girano intorno.