VIAGGI A MANO LIBERA

Giorno 24 - 17 agosto

Cancale

Le Mont Saint-Michel e Saint-Malo li conosco dagli occhi di mio padre, dalla sua voce che cambia e si fa più tenue, dal suo sguardo languido e lucido, dai suoi brevi silenzi.
Li conosco da un giorno di lavoro una decade fa, nel quale mio fratello Simone e papà disegnarono un grande cuore sulla spiaggia di Saint-Malo, mentre io aggiornavo spasmodicamente le webcam bretoni dalla reception di un albergo a Roma e mi coordinavo telefonicamente con loro cercando di intravedere il disegno.
Me li porto dentro con questo strano alone di nostalgia mescolata alla meraviglia e macchiata di gelosia.
Sì perché papà ci ha portato entrambi i miei fratelli, in momenti diversi. A me mai.
E quindi mi ci sono portata da sola, e ci ho trascinato felicemente Gloria.

Prima di arrivare a Mont Saint-Michel ci fermiamo per un tardo pranzo a Cancale, sotto suggerimento degli stessi zii di ieri, e anche di Albertina e Francesco.
Cancale è carinissima, simpatica come il suo nome. Piccola, con case in pietra e imposte colorate; il mare è denso, come se fosse colorato col pastello a cera, verde acqua termale e calmo. La vista sola ti culla.
Tradizione del paese è mangiare le ostriche al porto. Ostriche che ti tirano dietro (12 euro 24 ostriche) e che poi tu a tua volta tiri sulla spiaggia. È obbligatorio. Ce lo spiega la signora del chioschetto dove per 10 euro abbiamo preso 12 ostriche n. 1 (le più polpose) e 2 ostriche piatte di Cancale (più piccole ma preziose).
“Le grandi, le mangiate per prime e col limone, poi quelle due di Cancale le mangiate ‘nature’. Le cocce vanno là (indica una collina di gusci di un paio di metri di altezza), il piatto e le forchettine tornano a me.” La sa a memoria, chissà quante volte lo ripeterà durante il giorno.
Noi rispettiamo alla lettera la tradizione, aggiungendoci un bicchiere di vino bianco.
Per ripararci dalla folla di turisti ma soprattutto dal vento, scendiamo a goderci quel ben di Dio sugli scalini sotto il faro, altezza spiaggia – anch’essa fatta per lo più da gusci di ostriche tirati dai viaggianti passati prima di noi.
Mai mangiate così buone, dense come il mare che continua a sorprenderci davanti, polpose come le nuvole che scorrono sopra di noi, dolci (davvero dolci) come la sensazione che ci avvolge.
È un vissuto di perfezione, quello di adesso: il mare, le ostriche, il fresco, Nina che corre felice appresso a uccellini dalle zampe arancioni sgargiante, io e te sedute accanto, qualche bacio infriccicorito dalla meraviglia.
E poi.
In fondo, lontano, galleggiante su quella morbida tavola salata, in maniera totalmente inaspettata, gli occhi mettono a fuoco Mont Saint-Michel.
Lo indico, come gli italiani indicavano l’America dalla prua della nave a inizio secolo, e con la stessa voce spezzata annuncio a Gloria “Eccola! Oddio. È Mont Saint-Michel”.
E smetto di essere un’emigrata e divento la voce morbida di mio padre, la luce dei suoi occhi, il suo sguardo languido, e io non capisco, non lo so perché tutta questa emozione insieme, non so se è il sogno di papà che si scioglie dentro di me o se è altro, se è il mio di sogno, se è volerlo condividere con tutti, e la consapevolezza che in questo “tutti” ne mancano troppi, se è il vissuto che si prova quando tutto intorno e dentro è perfetto, o se invece non riguarda me e la mia storia, se è qualcosa di più sottile e spirituale, non lo so, non capisco, so solo che non lo riesco più a mettere a fuoco Mont Saint-Michel, che è offuscato dalle lacrime, ora.
Mi accoccolo sulla spalla di Gloria, sorrido. Sorrido e piango, mente in bocca ruotano ancora il sapore di ostrica e vino bianco insieme, e il sottofondo sonoro è quello croccante di zampe di granchio rosicchiate beatamente da Nina.
Se potessi fermare il tempo lo fermerei ora. Qui.
Stop.

Invece il tempo non si ferma, e forse va bene anche così, perché ci sono delle frites maison da gustare fronte Monte Saint-Michel, per riscaldarsi dal vento gelido che ci taglia la pelle.
C’è da trovare ancora un sentiero stupendo per arrivarci, dove curve sinuose scavate nel terreno accompagnano lo sguardo a posarsi sulla cattedrale.
C’è da rimandare a domani la visita a quella sorta di penisola sacra che due volte al giorno diventa isola: il freddo è eccessivo e noi non siamo sufficientemente attrezzate.
C’è ancora da trovare il nostro spot notturno, in mezzo ai campi, con vista diretta su Mont Saint-Michel, con tanto di gente che dai camper accanto viene a pellegrinare nella nostra “piazzola” per godersi la vista.
Ma soprattutto c’è la migliore conversazione avuta finora con i nostri disparati amici camperisti.
Ragazza tedesca: “Oh you’re from Italy!”
“Yes”
“it’s a long trip!”
“Yes, but we left Rome one month ago”
“One month ago?”
“Yes!”
“In this car?” (sgrana gli occhi e indica Flounder)
“Yes!”
“RESPECT!”

Respect.

    tiziana
    20 August 2021

    .... portarsi alla ricerca del Cuore del Padre... Fino a ritrovarlo vivo in se .. è il viaggio più grande che ogni DONNA intraprende.,. Ché quella morbidezza soffice come le nuvole e densapastello come il mare ... Solo li ..nel Cuore del Padre può essere sentita ...
    GRAZIE MARTA 🙏❤️🙏

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