VIAGGI A MANO LIBERA

Giorno 23 - 20 AGOSTO

U ditu:
Nonza – Plage de Giottani – Barcaggio – Plage de Tamarone – Erbalunga.
Rientro a casa

Nina alle 7:15 s’è rotta le scatole: vuole scendere dalla macchina, e ce lo dice in modo vago e subdolo.
Non è che ci odora o ci lecca, perché lo sa che è obbligata a dormire fino a che dormo anche io (l’ho educata benissimo a riguardo!), lei alle sette di mattina si alza, si sgrulla, si risiede, si lecca vigorosamente, si sdraia, sbuffa e si gratta. Insomma, ce lo fa capire benissimo che vuole scendere. Solo che siamo vendicative e non sa cosa le aspetta per tutto il resto della giornata.
La ragazza non dormirà.
Noi comunque siamo felici: svegliarsi bordo mare non ha davvero prezzo, la giornata per forza di cose prende una piega positiva!
Cariche, quindi, andiamo a fare colazione e una capata al supermercato, poi ci incontriamo con Fra e Claudia e ci dirigiamo verso la punta più a nord della Corsica.
Io non so che je dice la testa alla gente, ma ecco, SCONSIGLIARE di andare sulla punta, una volta che fai il giro dell’isola, la trovo davvero un’idiozia!
La strada, un po’ meno tortuosa di quella tra Cargese e Calvi ma altrettanto vertiginosa, costeggia il mare e offre degli scorci meravigliosi tra rocce, acqua cristallina e paesini arroccati con torri, chiese e tetti grigi a spiovente.
A dirla tutta, il dito sembra essersi fermato a decenni fa: non si è rimesso alla volontà del turismo, come il resto dell’isola, forse per via del fatto che non ci sono spiagge, ma solo (o prevalentemente) rocce o forse per la scomodità delle strade. Non lo so, ma tra tutta la Corsica, forse questo tratto è stato quello che maggiormente mi ha affascinata. Non tanto per il mare, che poi io sono viziata e comunque preferisco la sabbia, quanto proprio per l’essenza, perché qui si sente tutta insieme la durezza, la bellezza, l’isolamento, il romanticismo, il desiderio di indipendenza, il controllo, la cultura di un popolo pigro e combattente allo stesso tempo (di quelli che dormono – e dormono davvero – con un occhio socchiuso e il fucile in mano).
In questo tratto di strada, colpite dalla quantità di torri viste, siamo anche andate a leggere qualcosa sulla storia di quest’isola. “Qualcosa” che si può riassumere più o meno così: tra una cosa e l’altra la Corsica, intorno al 1700 era ancora della Repubblica di Genova, solo che una serie di rivolte per l’indipendenza guidate da tale Pasquale Paoli e le scarse risorse di Genova, fanno sì che la Repubblica sia costretta a chiedere aiuto ai cugini francesi che avevano perso non so quale guerra e non aspettavano altro. La Francia così, fischiettando, aiuta Genova, ma sotto sotto è pronta a faje pagà il conto, sicura che tanto non ce l’avrebbe fatta a risarcirli. E infatti, Genova, dopo anni, esausta, sudata e squattrinata, a una certa guarda Re Luigi XV e je dice “vabbè, senti, pijatela te, io nc’ho na lira, gnaafaccio più”. Ed ecco qua che firma il Trattato di Versailles nel 1768 e la Corsica se la prendono i franzosi, tutti felici che avevano un super punto strategico nel Mediterraneo. Anzi, se la prende direttamente il Re, dato che l’isola fino al 1789 diventa sua personale proprietà. Poi vabbè, nell’anno della rivoluzione francese, finisce che si annette alla Francia e punto.
Però i Corsi hanno un debole per l’Italia, sono fedeli a Genova ancora oggi, anche se più di ogni altra cosa desiderano tuttora l’indipendenza.

Il giro, comunque, alla fine, ha previsto una prima tappa molto rapida a Nonza, per ricaricare le borracce (anche se il paese sarebbe stato da vedere meglio, perché era davvero carino), un lungo bagno a Marine de Giottani (con tanto di tuffi e docce di acqua dolce – migliore tappa della giornata!), un pranzo in un giardino privato, ancora in corso di costruzione, fronte Cap Corse, e poi una sosta in spiaggia sempre là a Barcaggio per un paio d’ore (bellissima baia di sabbia bianca), e un’altra tappa a la Plage de Tamarone (bella, ma Barcaggio era più bella). Il tutto condito da ripetute sveglie al cane che, ogni volta che in macchina provava a mettersi giù a dormire veniva vivacemente sollecitata a guardarsi intorno dalle nostre urla di stupore (“Odddiiiioo Ninaaaa coooorrriii guaaaardaaa! è belliiiisssimooooo!”).
Verso le 19 parte la ricerca spasmodica del cibo. Ricerca che dura più o meno centottanta minuti, ovvero tre ore intere, dato che a Erbalunga, carinissimo e minuscolo paese in cui avremmo voluto mangiare, c’era il panico e soprattutto nessuno accettava pagamenti con carte, non c’era un bancomat e noi non avevamo contanti, e dato che a Bastia è impossibile parcheggiare (soprattutto quando nella piazza principale c’è il grande torneo di pétanque di tutta la Corsica).
Il nostro traghetto partiva alle 23:30 e noi siamo riuscite a mangiare un panino e delle “frites maison” nella piazza fronte porto, alle 21:55, ingurgitandoceli, in un alone di nervosismo, gravosamente addensato dalla mia ansia di dover essere puntuali.
Ovviamente siamo arrivate più che puntuali: alle 22:30 eravamo lì. Ed ovviamente siamo entrate nella nave alle 23:23: quasi un’ora ferme al parcheggio con le patatine che a quel punto hanno avuto tutto il tempo per raggiungere lo stomaco, condite però dai “te l’avevo detto” di Gloria.
Una volta dentro, ci siamo precipitate fuori con materassino, lenzuola, sacco a pelo e plaid, insediandoci a poppa in modo da essere un po’ riparate dal vento. Ci piace sentirci a casa ovunque.
Nina l’abbiamo legata forte e stretta accanto a noi, coscienti del fatto che chiunque si sarebbe mosso nella notte avrebbe fatto sì che la belva si scatenasse (e così è stato, alle 5 di mattina. L’idiota ha attaccato ad abbaiare al tipo che dormiva a due metri da noi e che si era semplicemente girato nel suo “letto”).
Il viaggio è ufficialmente terminato, e questa ennesima notte sotto le stelle, appiccicate e cullate dal profumo del mare, ci è sembrato un finale perfetto.