È una questione di contorni.
Quelli che sfiori delicatamente con le dita sul profilo di un corpo nudo e che allo stesso modo gli occhi accarezzano sulle sagome degli orizzonti.
A forza di abitarle, quelle linee diventano i confini della sensazione di casa, il recinto dell’abbandono, quelle che realmente percepisci e riconosci solo quando a casa ci ritorni.
Mi affascinano i contorni dei luoghi, sono le giostre della mia schizofrenia in viaggio, quando gioco a sentirmi un’abitante del posto, considerandolo casa e, come in uno sdoppiamento di personalità, improvvisamente mi ritrovo ad indossare invece il mio sguardo estraneo, quello di chi calpesta quelle terre per la prima volta.
E allora è una lotta tra esci-ed-entra nei due ruoli di migrante ed abitante, mentre mi aggrappo alle linee dei contorni.
Con gli orizzonti del Cilento ci ho lottato particolarmente, perché cercavo in qualche modo di riconoscerli, di nuovo, come se ci fossi già stata.
E invece erano nuovi, non c’erano punti di riferimento, non li ritrovavo in nessuna parte di me né nelle sue sagome.
Ed era giusto così, dato che quelle zone non le ho mai calpestate.
Non avevo grandi aspettative per il Cilento.
Gli altri – quelli che ci erano già stati – me ne avevano provate a dare tantissime di aspettative meravigliose su questa zona, ma c’era qualcosa dentro di me che le riluttava.
Dunque, sono partita solo con la gioia della partenza, di un van, di Gloria e Nina con me. Che ecco, comunque non è poco. Anzi!
Non avevamo neanche un piano di viaggio, e dai consigli presi qua e là avevamo giusto qualche nome sparso (Pisciotta – Cala Bianca – Castellabate – Ascea – Acciaroli) che a noi non diceva niente.
Ci siamo lasciate guidare prevalentemente dalla ricerca di luoghi di pace.
No, non “quei” luoghi di pace, non dai cimiteri, no.
Ci siamo lasciate guidare da quei luoghi in cui possiamo togliere il guinzaglio a Nina senza ansie e stati di allerta, dove possiamo apparecchiare la nostra zona d’intimità come meglio desideriamo, senza doverla condividere obbligatoriamente con qualcuno.
Normalmente questo succede nelle calette nascoste – prevalentemente rocciose – o nei sentieri che si divincolano tra i boschi.
In questo viaggio, tra le curve del Cilento, è successo:
· All’alba, alla Spiaggia dei Sassolini a Scauri dopo una notte passata in uno slargo della piccola strada che finisce al ristorante-stabilimento Mary Rock;
· Lungo il sentiero dell’area naturalistica Frassineto, vicino Baronissi, accompagnato da una cartellonistica didattica su fauna e flora del posto – dove ci siamo godute il fresco dell’ombra incoronando il momento con una mozzarella di bufala sublime, mangiata a mozzichi con tanto di sbrodolìo di latte ovunque;
· Alla baia di Trentova, oltre lo scoglio di Trentova, dove è stato impossibile entrare in acqua scalze per via della quantità di rocce viscide e appuntite e ricche di simpaticissimi ricci;
Alla punta del Telegrafo, ad Ascea, lì dove c’è una netta linea di demarcazione tra spiaggia-ombrelloni-gente e scogli-isolamento (che tra l’altro quell’idiota di Nina, sfranta da un lungo bagno, ha provato a superare e ci ha perse, ha abbaiato come una pazza nel cercarci e ha allertato mezza Ascea che ci è venuta a chiamare dicendo che il cane era disperato. Eravamo dall’altra parte di una piccola duna. E lei lo sapeva benissimo. Mezza Ascea sugli scogli che voleva noi.)
· A Pisciotta. Dove ci siamo innamorate del paese ricco di storia, scorci, gatti (per la felicità di Nina che ha girato per il posto con gli occhi sgranati e la cresta alzata), ristorantini e colori; dove un simpatico pisciottino (?) ci ha suggerito una spiaggia fantastica, fatta di ciottoli e con una fonte d’acqua dolce e fredda che ci ha permesso di lavarci sia la sera che la mattina dopo; e dove abbiamo casualmente incontrato amici, con i quali abbiamo gustato la meravigliosa cucina dell’osteria Perbacco mentre ci scambiavamo racconti di vita;
· All’arco naturale di Palinuro, che ora è chiuso per messa in sicurezza e che quindi non attrae tanta gente e dunque si può serenamente dormire in intimità là dove il Mingardo incontra il mare. Dove è tutto così immobile che sembra di essere in una fotografia di Ghirri;
· Al sentiero degli Infreschi e in particolare a Cala Bianca (perché la Spiaggia del Pozzallo – comunque meravigliosa – era troppo frequentata), illuminate dai suoi lisci sassi bianchi, dove ci siamo godute la più bell’acqua del Cilento!
È stato tutto così accogliente, fresco, aperto, verde e sereno che le aspettative degli altri si sono rivelate reali: il Cilento è un luogo magico. È magico, appunto, per i suoi colori, per i suoi odori, per l’ospitalità della gente, per il cibo buono, per i panorami, per le sue curve e le diverse altitudini.
E girarlo, quattro giorni, con un Van vero, che è diventato casa nel giro di 0.2 secondi, lo ha reso ancora più attraente e intimo.
Ora che ne ho sfiorato contorni, ora che li ho studiati e fatti miei, sarà facile ritrovarlo sia fuori che dentro di me.